“DEI SETTANTAQUATTRO MODI DI CHIAMARTI” (Raffaelli, 2012)
Questa raccolta, strutturata su testi brevissimi alternati con equilibrio a passaggi in prosa, è improvvisamente attraversata da una poesia lunga, cantata, con un preciso e battente refrain. Si tratta di “Dì (disordine)”, testo che compare nella seconda parte dell’opera quasi a organizzarne il significato, come se ciò che accade nel resto del libro, così sincopato, lampeggiante ed epifanico perfino nelle prose, ruotasse intorno ad un brano che si stacca con tanta evidenza dal resto. Lo stile delle poesie di questo libro, anche di quelle in prosa, rimane sempre contratto, limpido ed essenziale, asciuttamente lirico […] La poetessa aggiunge un’accezione personale: “ti ripeterò nei nomi delle cose”, rendendo così i nomi abitati da una presenza cara. Estremamente significativo e, anzi, luminoso il finale di tutto il libro, dove la presenza che è motivo della poesia viene indicata per nome, quel “nome piccolo e bianco”.
dalla prefazione di Gianfranco Lauretano
Dei settantaquattro modi di chiamarti di Anna Ruotolo</p>
Raffaelli Editore – Rimini, 2012
Pagine: 64
Formato: 12 x 18
ISBN: 978-88-96807-79-8
Anno: 2012
Prezzo: € 12,00
“Cosa fa di una poesia una poesia?”
E’ l’interrogativo che si poneva Benedetto Croce quando iniziò a scrivere i suoi saggi sulla poesia.
Me lo pongo anche ora, di fronte ai “Settantaquattro modi di chiamarti”, il nuovo libro di Anna Ruotolo per i tipi di Raffaelli Editore.
Dunque, cosa fa dei Settantaquattro modi una poesia?
Domanda semplice, in apparenza, ma a cui non è facile rispondere. Parliamo un po’ dei Settantaquattro e vediamo se ci riusciamo.
Sfogliando questo piccolo e intenso libretto si rimane senza fiato, si sospendono tutti i pensieri, ci si immerge in questo dialogo o, meglio, in questa conversazione a due (una terza persona anche è presente, nominata al “Cinquantaseiesimo anno”, è come se fosse il sostrato alla vita delle due Anna) dove parla solo il poeta. Parla, il poeta, a una persona, “di” una persona, che il lettore può solamente intuire chi sia non conoscendola. Di questa persona sappiamo solo il nome e l’iniziale del cognome: Anna D. Si legge il libro, si sfogliano le pagine, si va avanti. Ancora parole, parole che si dispongono in versi, versi che, insieme, fanno minuscoli componimenti, ogni componimento un anno, un anno della vita di Anna D.: primo, secondo, terzo, quarto… settantaquattresimo, gli anni che visse.
E si racconta, un racconto strano, insolito, un racconto senza fatti, con la quasi totale assenza di avvenimenti. Senza fatti e senza avvenimenti, eppure si ha l’impressione, leggendo lentamente, di conoscere Anna D., o se non di conoscerla, almeno di comprendere che tipo, che persona è stata.
Si leggono i versi, le parti in prosa, ma il lettore quando sta prendendo un po’ il libro, quando ha l’impressione che stia capendo il senso profondo delle parole, si smarrisce. Allora vien quasi il desiderio di essere qualcuno che con Anna Ruotolo abbia o potesse condividerne il quotidiano, perché solo chi ha vissuto questo quotidiano, alcuni anni mesi e giorni in particolare, può comprendere il valore dell’opera, che non è solo letterario. Allora si prova un po’ dispiacere a non essere il fratello dell’autrice, si prova una specie di invidia nei confronti delle sorelle, per come potranno leggere i Settantaquattro, si invidia la lettura di Nicoletta, di Chiara, di come lo leggerà Manuela fra qualche anno, si prova invia verso la madre (si sa come “leggono” le madri) per poi arrivare alla conclusione che se si leggessero i “Settantaquattro modi di chiamarti” come Chiara, per esempio, si guadagnerebbe non la profonda comprensione di un libro, ma l’aver conosciuto una persona pura, semplice. Semplice perché pura. Allora si può capire la genesi dell’opera, nata non solo grazie al saper confezionare versi ma soprattutto dall’aver incontrato e sperimentata in ann D. la purezza.
Si va avanti, si legge. I versi sono interrotti da intermezzi di prosa, a volte quasi confessioni della poetessa, come un tentativo di voler misurare la sua anima su quella di Anna D.
Le parole seguono parole, si fanno canto, un canto calmo, silenzioso, più che interiore intimo, quasi viscerale.
Si cantano gli abbracci, le carezze, quest’ultime diventano come nazioni: Anna D. ha settantaquattro anni, è stata madre, poi nonna, è malata, inerme, estremamente debole, costretta nel suo “letto-casa” carezze non ne può fare più, non ne ha la forza; da madre e nonna la malattia la fa ridiventare figlia: figlia della figlia che la accudisce ogni mattina, figlia delle nipoti che ora sono loro ad accarezzarla, figlia del marito a cui, a volte, può solo tenergli la mano.
E la poesia diventa lirica. Lirica perché Anna Ruotolo, a guardar bene, in tutte queste parole su Anna D. rivela se stessa, per la prima volta nelle sue poesie viene fuori il suo io più puro e genuino; in secondo luogo questa poesia è lirica perché canta, canta di “Anna prodigio e canto”, il canto di una scomparsa, nato perché si è capito che una persona sarebbe mancata. Ma questo è il canto di chi ha capito che la scomparsa non sempre coincide con l’assenza.
Ma cosa fa, dunque, dei “Settantaquattro modi di chiamarti” una poesia?
“scoperta” su neobar, i miei complimenti, sarei felice di invitarti ad aderire a “ex libris”..
r.m.
ti ringrazio!