QUATTRO GIOVIN/ASTRI
Quattro giovin/astri
Kolibris edizioni
COLLANA GIOVIN/ASTRI
Giovane poesia contemporanea
A.A.V.V., Quattro giovin/astri
ISBN 978-88-96263-39-6
pp. 164
€ 15,00
“Laura Accerboni (Genova), Antonio Buccelli (Foggia), Francesca Coppola (Napoli), Roberta D’Aquino (Napoli), Maziyar Ghiabi (Arak, Iran), Francesco Iannone (Salerno), Michele Porsia (Termoli), Anna Ruotolo (Maddaloni), Roberta Sireno (Modena), Vittorio Tovoli (Bologna), Federica Volpe (Carate Brianza) si confrontano ogni giorno alla ricerca di nuovi stimoli, idee cui lavorare, progetti da concretizzare, stilano lunghi e particolareggiati giudizi critici dei testi pervenuti in redazione, anche di quelli ritenuti non idonei alla pubblicazione, rispondendo di volta in volta in dettaglio a chiunque scriva inviando i propri testi o ponendo domande, avanzando dubbi e suggerimenti. Assistendo a questo fermento da spettatrice, mi sento trascinata e avvolta dal loro entusiasmo, dal calore e dall’umanità con cui abbracciano la scrittura dell’altro, esultando quando li convince, dispiacendosi quando sono costretti a rifiutare a qualcuno la pubblicazione. Cosa che avviene di frequente, perché questi ragazzi, come dicevo prima, sono dotati di una forte consapevolezza letteraria, di un marcato senso critico, che li spinge a essere severi ed esigenti prima di tutto nei confronti di se stessi, poi, in misura non minore, nei confronti dei loro coetanei o di poeti di poco più giovani. Tuttavia, i giovin/astri di Kolibris non si limitano a rifiutare la pubblicazione dei testi ritenuti non idonei, bensì forniscono di volta in volta all’autore un giudizio di valore dettagliato e il più possibile esaustivo, offrendo inoltre la propria disponibilità a seguire i successivi sviluppi della sua scrittura, incentivandone e favorendone i progressi sulla base del confronto e della crescita collettiva.
I poeti selezionati per la pubblicazione online di una scelta di testi – introdotta da una nota critica e da qualche notizia bio-bibliografica – verranno poi pubblicati in e-book da edizioni Kolibris, in modo da agevolare uno sguardo complessivo sull’opera dei giovani selezionati, e da evidenziare i criteri selettivi della redazione e i requisiti qualitativi che soggiacciono alle scelte dei giovin/astri.
I Giovin/astri di Kolibris non è però punto di arrivo, bensì palestra, punto di partenza del lungo percorso che è necessario intraprendere per approdare a quel che alla fine più marca il percorso di ogni poeta, la pietra miliare, arrivo di un istante, e ripartenza: il libro.
È per questo che all’attività di confronto, scambio e pubblicazione on-line, propedeutica alla pubblicazione cartacea, Kolibris ha deciso di affiancare quella di una collana, I Giovin/astri, interamente dedicata ai poeti di età inferiore ai 30 anni, di cui la presente opera collettiva Quattro giovin/astri costituisce la prima pubblicazione, rendendo anche conto di quello che è stato il nucleo primario dell’intero progetto. Sono stati infatti i poeti qui inclusi a scegliere e poi consigliarmi i propri compagni di viaggio, che ho riscontrato essere giovani altrettanto validi, preparati e disposti al confronto e al lavoro di gruppo in nome della qualità e del rigore.”
Dall’Introduzione di Chiara De Luca
“Ogni poesia, ogni verso, ogni parola, ogni ex-pressione invoca un interlocutore, l’altro che mette se stesso nel gioco del dialogo. C’è un’esposizione nella creazione letteraria e la stessa vocazione costituisce l’atto del leggere, che è sempre un ascolto dell’alterità, anche dell’altro io che presta voce a quella parola che proviene da fuori di noi, ma che prende forma dentro, rintoccando il suono nella camera acustica della nostra coscienza, del nostro corpo. Scrive Ezio Raimondi: “la lettura non è mai monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore. La solitudine diventa paradossalmente socievolezza, entro un rapporto certo fragile come sono fragili tutti i rapporti intensi e non convenzionali (…) tra il lettore e lo scrittore si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia faccia di una vera e propria relazione etica.” Al termine del viaggio in questo giovane arcipelago, attraverso i mondi interiori e i paesaggi esistenziali di quattro poeti, che fissano il loro presente nel decennio che va dai venti ai trent’anni, possiamo chiederci quale ascolto e attenzione convocheranno queste poesie presso il naturale interlocutore di chi è giovane: l’adulto. Adolescente e adulto sono vocaboli della stessa progenie; il latino adolesco diventa “mi nutro” e se nella prima parola la radice segnala il nutrirsi in atto per la necessità del crescere, nella seconda dà invece forma all’avvenuta nutrizione e alla tentazione, sempre presente, di non crescere più. E se è vero, come scrive Winnicot, che adulto è colui che trova il proprio posto, ancor più vera è l’ammonizione di Rilke che ci ricorda che fiori e frutti sono maturi quando cadono. Qui forse sta la malattia e la tentazione della nostra società. Potrà trovare questo arcipelago poetico, che nell’essere giovane incarna la possibilità del diventare e in essa ogni prospettiva reale e simbolica di cambiamento, l’accoglienza dovuta nella comunità adulta, tentata invece dalla pura persistenza e oggi, autovincolata dal farsi di una vita rapida, senza più tempo, convenzionata da strozzanti regole di quel mercato che tutto scambia e traduce in moneta? Quale ascolto potrà venire da una comunità che nulla sa più promettere a chi s’affaccia alla vita se non un’incertezza castrante la passione, che pare dimenticarsi d’accompagnare i giovani a diventare adulti, rinunciando nel contempo a ipotizzare, per mezzo di tale iniziazione, il rinnovamento del suo stesso essere e chiamando tutto ciò, per giustificazione, modernità?”
dalla prefazione di Umberto Fornasari
Francesco Iannone, Poesie della fame e della sete
*
Hai intrecciato tre panieri da regalarmi
da portare stretti
quando manchi e non riempi
la venatura che m’allarga crepa sul soffitto.
Sto col dito, guarda, premuto al pavimento
tiro i fianchi, strattono ad arrivarti
volevo dirti che ieri, poi, del resto,
siamo stati bene veramente
ho visto piano sparirti alla finestra
dicevo grazie
con la calma del bimbo sotto le coperte.
*
Spiegami tu l’assenza
la strada che scruta chi passa
un bimbo che la mamma l’ha persa
al supermercato e rigira
tra gamba e gamba cercando
la piega dei jeans, la più vera.
È quello strusciare di cappotti nella folla
e poi neppure vederti
che mi asfalta il cuore
mi fa piovere dentro.
*
La sterrata quasi
mi svapora avanti
struscio le siepi filo filo
sterzo bruscamente e rigo
la portiera contro il muro
cucio in bocca il fiato
il tempo solo di un respiro
mi accuccio nel guscio della sera
come un feto dormo
la promessa di te
il bozzolo chiuso
che spalanca al mattino.
*
In ogni cosa davanti
ad ogni dettaglio rientro
nel tronco di me
preciso come un fuso
o sulla corteccia, rapprendo.
Mi fiorisce così sulle mani
nella riga di sudore dell’indice
la consolazione dell’alba
che lecca il pelo al mattino
un calmo divieto di foglie
in orbita sul davanzale.
*
Il mattino si lancia dalle case
fuma sole pure dai comignoli
noi nel bavaglio che tiene ferme le lanterne
ci avvolgiamo come uccelli
portiamo acqua verso il secchio dei fianchi
crediamo il cielo un grande scoglio
da sistemarci bene sopra mentre un vento
ci mordicchia appena le caviglie.
Senti
che tormento di libeccio sopra i moli
che soffio ingrossa il bucato alle ringhiere…
Anna Ruotolo, da ‘a’ come avvicino
I
un passo (è tutto – sono lì)
ma poi ho paura di lasciarlo
invecchiare con te
chiuderlo in una stanza
non chiedergli una parola
o un accordo,
il bisogno di una mano infinita
accostata alla mia spalla.
Una mano senza riva
dal dorso di nevi e di ciliegia.
**
avvicino la mano alla tua mano,
qualcuno dice il palmo al palmo
quasi una parte bastasse
in certe misteriose sostanze d’amore.
Non basta, ti vedo svanire nel poco
hai la luce finale tutta
tutto l’abbandono.
E noi abbiamo un orizzonte
da sanare, così
mano a mano
***
con un passo (è tutto. E sono lì).
II
fianco a fianco
siederemo quelle scale
ascolta – dico – la rondine
lei il letargo non lo sa
non lo intende.
Parlando così va via qualcuno
qualcuno ci sfugge dentro
e bisognerebbe essere come
le cose
che sanno mantenere il tempo,
dedicare il ricordo.
IV
bocca a bocca:
scioglierò la mia per gioco
nella pagina ventuno del tuo libro
baciando la poesia dell’anno
…
quasi sono felice che dal tuo nome
abbia avuto vita un segreto
e che tu non abbia parlato
per bene, a lungo
da scoprirmi indaffarata
nel termine luminescente
della pioggia
e il mare e il freddo
e il gelo che – sai – non mi tormenta.
Da Dialoghi da Moleskine
IV
– E se si fa sottile il suo corpo
la riviera ci sembra attraverso
non mangia ormai che pane
e origano,
dobbiamo partire
per le stanze bianche
e i corridoi verdacciaio delle sale
per provare a ricongiungerci
nel sangue.
– Così le dici? Dobbiamo partire?
– Ogni tanto succede. O, ogni tanto,
che anche a me fa male qualcosa
cosicché dopo a lei non dice niente di brutto,
tutto ciò, niente di terribile.
È la riprova che il corpo è nostro
e se siamo in due si passa meglio
dal sogno all’esistenza , dall’esistenza
al sogno, nella notte.
Vittorio Tovoli, da City Melange
Soluzione cardioplegica
Ho imparato a passare sui cadaveri
ma non sulle tue scelte,
che lasciano macerie di discorsi
e stomaci sventrati.
È una vetrofania sgrammaticata
l’insieme delle mie dichiarazioni:
iniettare in un lembo
di cuore infetto
l’idea che niente valga
e poi attendere l’osmosi elettrica
tra l’aria della sera e il tuo profumo,
che è come si difende la natura
da un’eventuale esplosione microbica
di giovani speranze.
Chiara
Hai note a piè di pagina nei baci
e correzioni a margine in matita:
ci sono spiegazioni che non devi,
che arrivano sui reni.
Mi illustri i piani del percorso
togliendo la sicura alle corde vocali e spari
che gli asterismi e le brave ragazze
non ti vanno a genio
e poi che se una stella è luminosa
a quest’ora è già morta;
implosa in una nova
che mangia il buio astrale.
Ma tu non puoi capire.
Relaxing at Qingdao
Le crisalidi sono ancora larve
comunque le si chiamino:
mi vogliono sereno
come i Buddha di giada.
Non scomodiamo l’Impero Celeste;
basta un’ipotesi di vento
e il mare fa le creste.
Voglio parole scritte per fissare
il tramestio continuo delle barche,
la nebbia che risale,
i cumuli di alghe.
Su queste sabbie di giaguaro
un pesce che s’arena – sembra un drago –
e una bambina, piano:
dove inizia la battigia?
Quando smette di piovere.
Rondini di pane
Certo, non nevica a giugno. A sentirmi
le strade dopo i temporali
sono frutteti incolti e poi
Saturno, Giove e ancora ad ascoltarmi:
tu non faresti rondini di pane
ma stormi veri e propri, guarda,
la mia predilezione è per chi sverna.
Invece c’è chi resta e canta
un peana infinito che s’impiglia
al frangiflutti delle labbra:
ascolta chi mena il turibolo,
chi ancora piaggia quell’uomo in esilio
per un verso mai scritto a suo figlio.
Allora sei figa
Vittoria tua, probabilmente
ma è come aprire porte aperte
o fare luce al sole.
Forse non sai che sono fatto in pelle,
che prenderò la polvere dei giorni
granello su granello e nei lamenti
sì, ma di un ostaggio imbavagliato
e ignori i miei ritorni a casa
con tutti i nomi che si danno ai maschi
zoppicando a sinistra come i diavoli ubriachi.
Tu lasci vuota una stanza spoglia
eppure hai ceste di fiori bellissimi
che fai morire apposta.
Federica Volpe, La gola del cappio
Ad ogni altro
Non capisci
il mio essere donna
non solo nella foschia dei fianchi,
il mio essere fame
non solo nella penuria dei pani.
Non capisci il mio errare,
il mio eterno errore, l’orrore eretto
dalla stupidità stupenda della suscettibilità
propria di chi è primo e si premia tale.
Non capisci
il mio essere assente,
il mio essere offesa.
In fondo, in qualcosa, non siamo
diversi, distanti odiose distanze,
in fondo ci corrispondiamo:
ti guardo a guardia dei tuoi dardi di sogni
non proprio eroici
come gufo che graffia la notte spiando la chioccia.
E incommensurabilmente, non ti capisco.
Le mani degli anni
mi litigano come cencio
di mercato comunale.
Chissà quali dita
vinceranno il ricamo
sfatto, quale anno m’avrà.
Ad Alda Merini
Voce folle,
additata mentre canta e corre
nei campi gialli bagnati dal sole
che, inchiodato alla trapunta del cielo,
non dà respiro ai polmoni densi
della notte, bimba silenziosa e attenta
a copiare le materne movenze della morte.
Folle voce,
che ha per ossessione le braccia di luce
che la afferrano dolci e meschine,
di amante instancabile e violento
che dona ogni giorno fiori e peccato.
L’arte è peccato, mi hai detto un giorno
gridando nuda nei campi in cui a grappoli
l’io cresce e s’inebria estatica di sé,
come vino in uno specchio, ed io capiì.
Voce folle,
folle voce,
la tua,
la mia,
capri espiatori perfetti, pecore nere
che abbaiono e mordono, idrofobe,
che vengono sgozzate, rinchiuse
nel nero schifoso del loro sangue.
Ma mai noi folli, noi poeti,
siamo soli: siamo immersi
come in fasce nel tepore
del nostro pensiero di luce,
e cresciamo come delicati
crisantemi attendendo la croce,
il sonno eterno dello spirito insonne.
*
Avete mai portato – con permesso –
un caro amico a scuola?
o – castamente – sotto le lenzuola?
Io, i miei amici, – sorpresi?! – li porto sempre appresso.
Ho portato Rilke al parco,
Borges in riva al mare,
ho condotto Hesse sotto l’arco
d’un ponte, a Monaco, e mi pare
d’aver avuto con me in viaggio
il buon Gozzano. Rostand stette
con me lo scorso Maggio,
La Lamarque a Natale tra le fette
di pandoro, conobbi il fumoso Majakovskij,
Prevert, Proust, il timido Leopardi,
Goethe, Verlaine, il passional Bukowski.
Ognuno – e molti altri – lanciaron i loro dardi
su di me, senza ferire,
sol donandosi, senza mai finire.
Voi che avete cento e cento amici di carne
– non vi biasimo, anch’io ne ho qualcuno! –potete goder gratuitamente – e trarne
tanto – quanto da un di carta? – Non mi inganno: cento a uno! –