“Diari newyorkesi” è una rubrica a cura di Alessandro Polcri.
Questo articolo è apparso nel blog Samgha a firma di A. Polcri il 3 aprile 2012.
Qui il post originale.
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Anna Ruotolo prova una delicata sensazione di nostalgia per New York già prima di abbandonarla. Mentre ancora la sta attraversando, sa che presto la perderà. Le poesie che nascono da questo viaggio sono, dunque, segnate non tanto dall’estasi della scoperta, ma da un velato smarrimento causato proprio dalla consapevolezza della breve bellezza di quei momenti esplorativi che ‘nascondono’ in sé l’imminente ritorno. La poetessa è ‘dislocata’ e in questi testi legge la città come il luogo che inaspettatamente ha messo in crisi il significato profondo del verbo “tornare”.
Alessandro Polcri
Anna Ruotolo
da Maldamerica*
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Gone to Stay
I
Abbiamo detto dimenticanza
ci siamo comportati male quando progettammo
che gli aerei andata/ritorno fossero bruciati.
Ci siamo comportati come per restare,
farlo per sempre e non sentire
che dentro il ritorno è un sentiero, talvolta
e ciò di più caro è così perché paterno
e di terra, questione di acque territoriali
di chilometri che rinascono in faccia dal cielo.
II
Torniamo sempre dove cominciamo, dove le attese
rimangono per sempre prima ancora di accadere.
Ma c’è una cosa che riviene
come dal profondo più profondo:
da qui, nostra casa raggiunta e ritornata, si fa un filo
e perso è niente, perso è niente.
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Ultime cose prima di partire
Quando la vigilia e la valigia
hanno la stessa ombra, la stessa faccia
e tocchiamo carte
stese di notte per preparare tutto
senza confusione,
solo qualche animale docile
ci cade nel cuore,
quasi un abbraccio, una benedizione.
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New trip
Guarda come si fa:
entrare da un mondo nell’altro
dal primo al secondo mondo
e questo terzo che viene non è triste
per niente
perché da lì si arriva per aria
e per cielo al quarto, poi al quinto
e poi così, ancora, contando.
È questa confidenza di passaggi
che ci prende nel contenere in borsa
qualche street portata a mente
come anello di acciaio
finché la luce sull’assenza delle Torri
non arrivi a spaccarla
e alcuni sorridono di nuovo tra le mani
come bimbi antichi e affezionati.
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South Street Seaport’s melody
Dare mondo e fuoco a una visione,
lasciare indietro chi non cammina.
Stendere le gambe come i pesci
sul ponte raggiante di Seaport,
mandare via il sonno, di notte in notte,
ché qui non si può dormire.
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Valzer in 5th Ave
Anche se abitammo negli hotel più chic della città
a cinque stelle, a luci intermittenti sulle loro teste enormi
e alte come lance fino alle ultime stanze del cielo
anche se (quel tanto che si può) facemmo il giro degli stores
e salimmo le vedute più alte e promettenti
tenendoci su, spalla in spalla
come per cura e per destino
era come se avessimo perso giù nella 5a Strada
la chiave di tutto
e crescessimo nella bocca dello stomaco la premura
di scendere e sbrigarci tra i fumi
per poterla riaccendere, recuperare.
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On Times Square’s wall
Times Square di notte
è come a mezzogiorno
non sa il buio dell’inverno,
l’eclisse di sole.
È continuamente inizio e inizio
e subito dopo ancora inizio
poco prima della caduta dell’ombra
che non avviene mai – isola che non c’è.
Ma nottetempo là sarebbe stato facile
mostrarlo a voi tutti
mentre qui scriverlo è oscuro
e viene a sconfessarci persino
il bellissimo principio della prima luce,
la bella luce che perde aria e svanisce presto
dalle stanze delle nostre tempie.
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Seaport – The Last Time
Avevamo il rito della conta
prima di tornare dal porto,
lasciando pure che le sue braccia di legno e d’estate
faticassero ad apparire sotto l’alfabeto.
A, B e C – da destra – risalivano dall’abbaglio di qualcosa
e poi D, E, F finivano nella coda-galassia della fila.
A volte ci tenta la mania
che nessuno del gruppo si perda,
vada camminando perso, in un palazzo o una via
persino in un cantiere o nello spazio geografico
del nulla e dell’aperto cielo e dell’aperta terra.
Ma tu devi sapere che il porto ci aspettava paziente
scendeva nel buio,
esercitava una calma come certe calme divine
o il ritardo previsto dai cumuli di rocce e dalle stelle.
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I like the way you say things
Dovremmo parlarne con una lingua diversa,
o-c-e-a-n-i-c-a
che lasci filtrare cose grandi e cose piccole
attraverso i cassetti del mondo.
Questa sarebbe la via migliore per tutto il tempo.
Loro dicono via, way, noi maniera.
Loro vanno, noi abbiamo il dare da una rete di mani
toglierci qualcosa, aspettare il ritorno,
il contraccambio. È che ci trattiene la mano
tesa, le mani nelle mani. Mano che finisce
e non corre in strada. Mano che finisce per restare.
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Teorema della perdita
“Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel.”
(E. Bishop)
Pènsati destinata a un posto e poi pratica la perdita
raccogliendo qualche volta qualche terra di passaggio.
Così andare e tornare avranno immagine di tempo
prezioso e di casa devota.
L’acqua sarà fina e buona, al tuo rientro.
Il cielo basso un buon amico.
Per l’America partii senza volere, non senza esercitare
la memoria del mio cancello, della mia stanza, pure.
Mia, piccola e rovinata.
E il teorema andò fallito, falliti tutti i tentativi
di pensarmi destinata al granello d’Italia
e invece più dentro a un moto più grande,
un luogo che brillava e cresceva nella notte
appena mi ha vista entrare, venire intera
nella luce della porta.
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“You’re a cloud, I’m your home.”
Misuri le cose familiari da lasciare,
qualche libro in italiano, le tue bottiglie
col metro affrettato dal biglietto per Montclair,
dal respiro di certe incantevoli città
nel raggio di pochi chilometri.
Ma misurando casa tua, è casa ovunque.
Apri la valigia della nostra specie
dicendo che tutto alla fine si lascia,
così per la tua idea forte di dimora
che ha un nome e mi appartiene,
chiedi di misurarti la confessione più dura,
la parola mancanza:
«Ti manca, qualcosa? Dimmi che ti manca.»
E io rido e piango perché non manca niente
e tu mi chiami nuvola, mi dici di appoggiarmi
a te, che il tuo nome è sempre c-a-s-a
e invece appena, appena ti vedo
tra le nostre italianissime cose
e la notte ampia, grandissima, frontale.
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To the airport
Se ne vanno senza rimarcare il fatto
gli occhi bassi intenti alla marea,
attenti a non cadere giù.
Furono accesi di meraviglia
passando da New York a Niagara Falls
pensarono un istante
che pure i giorni avvengono
così miracolosamente
accolti in un’ampolla d’acqua,
curati di sorpresa, di vapore e pioggia
che sale al contrario – da giù in su.
Se ne vanno loro, in fondo,
con la certezza di ritornare.
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The Day After
Si rifà così la vita:
il risveglio nel meridione d’Italia
di tutta – quasi – la terra
vegetale e animale
di nuovo conosciuta e fatta della sua sostanza.
E mentre qui il mio lungo capello diminuisce,
sul tetto n° 1, 2 e 3
su ogni – senza esagerare – tetto di New York
passa qualcosa di inestimabile
raggio di fumo e grattacielo
il senso, la durata della nostra nascita improvvisa
e della tua forma bella ed intera
qui, ancora da accadere.
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* Maldamerica, 15 poesie in silloge, prefazione di G. Lucini, Edizioni Cfr, 2011.
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Anna Ruotolo (1985) vive a Maddaloni, in provincia di Caserta. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza. Ha pubblicato la raccolta “Secondi luce”(LietoColle, 2009 – Premio Turoldo 2009, Premio Silvia Raimondo 2009, Premio Città di Ostia 2011). È in uscita, per i tipi di Raffaelli, il suo ultimo lavoro: “Dei settantaquattro modi di chiamarti”. È presente in varie antologie poetiche, tra le altre si segnalano: “Quattro giovin/astri” (Kolibris, 2010),“Raccolta di poesie“ (Subway edizioni, 2011), “La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta” (Ladolfi editore, 2011 – a cura di Matteo Fantuzzi e con una prefazione di Maria Grazia Calandrone). Ha vinto premi nazionali ed internazionali giovanili (tra gli altri, il “Premio Turoldo” 2009 nella sez. under 25, il concorso “Subway letteratura” 2011). Suoi testi sono apparsi in “Poesia” di Crocetti, “Capoverso”, “Poeti e Poesia”, “Italian Poetry Review” (anno 2009, num. 4, – Columbia University, The Italian Academy for Advanced Studies in America and Fordham University), nel quotidiano “Il Tempo” e in vari blog e magazine online (Absolute Poetry 2.0, Neobar, L’occhio del pavone, Poetry Wave-Dream, Blanc de ta nuque, Imperfetta ellisse, Poetarum Silva, Transiti Poetici…). Un testo tradotto in spagnolo da Jesús Belotto è pubblicato nel num. 4 della rivista internazionale “Poe +”. Collabora, scrivendo recensioni, con la rivista “Poesia” (Crocetti). È redattrice del mensile MyGeneration dove cura la rubrica “La Strofa sul Sofà”. Dal 2008 al 2010 ha curato e condotto il poetry slam “Su il sipario” in diversi locali casertani. Oltre al suo sito personale (www.annaruotolo.it), gestisce il blog letterario SpazioPoesia.2 (http://spaziopoe.blogspot.com)
Quando gli occhi dell’amore
ricambieranno il mio sguardo
tutto ciò che mi circonderà
all’istante svanirà.
Le tenebre
avvolgeranno i miei occhi
che riaprendosi
vedranno l’alba
di una nuova vita.
Oggi
nasco dai tuoi occhi………